9 Marzo 2014
Posted at 08:00h
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E’ stata una fortuna trovare questo libro in biblioteca ed esserne attratta.
Si perché almeno ho potuto riportarlo indietro senza aver speso un centesimo!
Avevo letto il primo libro della Krauss “La storia dell’amore” e il mio giudizio non era totalmente negativo.
Storia strana certo, ma almeno scorreva abbastanza piacevolmente
e solo la fine mi aveva riservato una delusione.
Questo libro invece, ha saputo interessarmi solo al primo capitolo; l’odissea è stata arrivare alla fine!
Ho dovuto leggerlo fino in fondo perché ero certa che avrei trovato un senso a tutto prima o poi.
E invece niente!
Diversi personaggi, totalmente negativi e pieni di ogni tipo di angoscia e problemi, che dovrebbero
in qualche modo incrociarsi e avere un motivo di esistere per il lettore.
Invece niente ancora!
Al di là di quella scrivania che voleva rappresentare il magico filo conduttore del romanzo
e che invece diventa un oggetto ingombrante e fastidioso, c’è davvero poco a
collegare i fatti e i personaggi di questo libro.
A un certo punto poi la Krauss perde proprio la ragione e arriva a farneticare
nel capitolo di Nadia che giunge a Gerusalemme alla ricerca di questa benedetta scrivania!
Per non parlare dell’ultimo capitolo dove si arranca faticosamente su per la salita…
ma chi me l’ha fatta fare?
Libro da dimenticare
LA TRAMA
Nell’inverno del 1972, a New York, Nadia vive reclusa in una casa vuota, a fare i conti con la solitudine dopo un abbandono e con le difficoltà del suo mestiere di scrittrice. L’incontro di una sola notte con un giovane poeta cileno le cambierà la vita: lui decide di lasciarle in prestito i suoi mobili e di tornare in Cile, dove verrà inghiottito dalle carceri di Pinochet. A Nadia resta in eredità un’enorme scrivania, dotata di diciannove piccoli cassetti, uno dei quali impossibile da aprire. E quando dopo venticinque anni riceve la telefonata di quella che si presenta come la figlia del poeta, Nadia si rende conto di non volersi separare da qualcosa che è diventato parte integrante della sua identità. Si tratta, forse, della stessa scrivania su cui da sessant’anni un antiquario di Gerusalemme sta cercando di mettere le mani, nel tentativo di ricostruire pezzo dopo pezzo lo studio di suo padre, saccheggiato dai nazisti a Budapest in una notte del 1944. E per un periodo sembra essere appartenuta anche a un’altra scrittrice, Lotte Berg, fuggita a Londra dalla Germania nazista: solo alla fine della loro vita insieme il marito di Lotte, un professore universitario inglese, capisce di non aver mai conosciuto a fondo la donna che ha amato di un amore struggente, e che proprio in quei cassetti nascondeva un terribile segreto.